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Nei tempi in cui si adoravano gli Spiriti di cui si credeva fossero animati gli elementi della Natura si divinizzò il fulmine che atterra, la fiamma che divora, il vento che scuote, terrificanti fenomeni che contribuirono alla costruzione delle fondamenta del mito greco. Più tardi l’uomo riuscì a non farsi più solo atterrire dalla potenza del Creato ma anche ispirare: emozione, stupore, poesia e i Poeti crearono I MITI, favole che cantavano la sua bellezza, pericolosità e generosità.

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lunedì 9 luglio 2012

LA SIBILLA CUMANA



La Sibilla cumana è una delle figure più inquietanti, misteriose ed affascinanti della mitologia greco-romana.
Sibille, erano chiamate le sacerdotesse di Apollo, il bellissimo Dio del Sole, in possesso di poteri divinatori concessi loro dalla Divinità.
Vivevano in grotte oscure o in prossimità di fonti sacre  e sul significato del loro nome, c’è la stessa oscurità e lo stesso  alone di mistero  che circondava la loro figura.
“Vergine Oscura”,  secondo alcuni, il significato del termine Sibilla, proprio perché vivevano in luoghi oscuri e misteriosi; inaccessibili. E proprio per questo, e per i loro infallibili responsi, le Sibille erano assai temute e rispettate.
La Sibilla era “posseduta” da potere divino che acquisiva attraverso il respiro di vapori che uscivano da fenditure del terreno nei pressi della grotta in cui viveva (l’Antro della Sibilla) e con libagioni di acqua  di Fonte Sacra. 
Masticava foglie di lauro, pianta sacra al dio Apollo, atto con cui suggellava la sua unione con la Divinità.
Come ogni altra Sacerdotessa, la Sibilla era la “sposa” del Dio, ma non si trattava di amplesso fisico: la Sibilla, infatti, conservava intatta la sua verginità, poiché “l’amore” di Apollo nei suoi confronti era solamente un “soffio” trasfuso in lei, conservandola nello stato di verginità.
(il concetto di Vergine-feconda ha sempre affascinato l’uomo)
Non per tutte, però.
La Sibilla cumana, conobbe un ben altro destino: beffardo e crudele.
La leggenda narra che una di queste Sibille giunse a Cuma, in Campania, nei pressi dei Campi Flegrei, dalla città greca di Eritre. Il suo nome era  Deifobe.
Era così bella, che Apollo se ne innamorò follemente e le promise, in cambio di sesso, che avrebbe esaudito ogni suo desiderio.
La Sibilla si chinò a raccogliere un pugno di terra e chiese ad Apollo di concederle di vivere tanti anni quanti erano i granelli di terra raccolti.
Apollo acconsentì, ma la ragazza si rifiutò di concederglisi.
La vendetta di Apollo fu terribile: le concesse di vivere, ma le negò la giovinezza: settecento anni.
Con il passar degli anni, Deifobe divenne sempre vecchia e più piccola; quanto una cicala.
A chi le chiedeva quale fosse il suo desiderio, rispondeva con voce triste e sconsolata:
“La morte!”
Apollo, infine le concesse di morire.
Morale?…  Forse che una vecchiaia troppo lunga è anche troppo triste!

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