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Nei tempi in cui si adoravano gli Spiriti di cui si credeva fossero animati gli elementi della Natura si divinizzò il fulmine che atterra, la fiamma che divora, il vento che scuote, terrificanti fenomeni che contribuirono alla costruzione delle fondamenta del mito greco. Più tardi l’uomo riuscì a non farsi più solo atterrire dalla potenza del Creato ma anche ispirare: emozione, stupore, poesia e i Poeti crearono I MITI, favole che cantavano la sua bellezza, pericolosità e generosità.

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ANTICA GRECIA - Penelope fu davvero così casta?

La figura di Penelope, casta e fedele, che aspetta trepidante il ritorno dello sposo vagabondo per il mondo con la scusa della guerra,...

lunedì 15 agosto 2011

DONNE NELLA STORIA: Vizi e Virtù

DONNE nella Storia  -  vizi e virtù


Desidero dipingere minuscoli ritratti di donne conosciute e non, che hanno costellato il firmamento femminile in maniera positiva o anche negativa.
Non vuole essere nulla di più che un piccolo corollario di figure di donna nella storia, attraverso i loro vizi o le loro virtù!


LA SEDUZIONE

Innanzitutto il Dizionario recita così:  
“sedurre è l’atto di attrarre al male e distogliere dal bene con lusinghe ed inganni”
Davvero poco lusinghiera questa spiegazione per una “seduttrice”, letteralmente parlando.
“Ma – continua il  Dizionario – significa anche attrattiva, fascino, lusinga, malia e… corruzione.”   
Seduttrice, dunque, è colei che affascina, alletta, ammalia, seduce, provoca… in una parola: piace.
L’elenco delle “seduttrici” è numeroso. Ieri come oggi. Ne citeremo alcune, partendo dai tempi nostri e  raggiungendo il passato.

- Sulle seduttrici dei nostri giorni stenderei un velo pietoso: “escort” significa più prostituta d’alto bordo che vera “seduttrice”.


- Veronica Franco

Letterata, poetessa e scrittrice, era anche una donna bellissima dotata di un fascino particolare. Vissuta nella Venezia del ‘500, trasformò la sua casa in un salotto mondano-letterario frequentato da nobili e uomini di cultura che, con la loro generosità, la resero ricca e famosa, fama a cui contribuì perfino il grande letterato Pietro Aretino.
Spregiudicata e libera nel suo stile di vita (consumò brevi ma intense passioni amorose), si guadagnò presto fama di  cortigiana e “seduttrice”;
Come tutte le cortigiane, però, è “honorata e riverita”, come dice il celebre Catalogo pubblicato nella metà del ‘500. Come tutte le cortigiane di rango, però, la Franco non si limitava a vendere il proprio corpo, ma offriva compagnia, eleganza, classe ed arte: sapeva suonare, cantare, recitare: composizioni proprie e quelle dei suoi ospiti.
Non mancò neppure di protettori particolarmente importanti: uno di questi fu Enrico III, re di Francia.
Morì giovane; forse proprio a causa del suo sfrenato stile di vita.

- Semiramide

Figura leggendaria, di lei si hanno notizie incomplete e spesso contradditorie, proprio per il fatto che la storia ha ceduto alla leggenda.
Molti studiosi la riconoscono nella figura di Sammuramat, sposa del Re assiro Shamshia-dad V,
vissuta in epoca tardo-matriarcale.
Molti secoli dopo, la figura di questa donna, dalla grande libertà di costumi, suscitava scandalo nella Chiesa Cattolica, che considerava Babilonia come la “Grande Meretrice”.
Nel Medio Evo era diventata simbolo di licenziosità e dissolutezza morale. Dante la collocò nell’”Inferno” fra i Lussuriosi e Boccaccio la condannò severamente nel suo “De Mulieribus Clares”.
La letteratura si è spesso accanita su questa figura, salvo rare eccezioni come in “LA città delle  Donne” di Chrestine de Pizan, che ne parla come di una donna di valore e coraggio.
Il regno di Semiramide, Regina e Reggente in nome del figlio Adad-Nizan III, fu in realtà un momento di cultura, libertà e crescita economica, valori quasi sconosciuti nel Medioevo, (periodo di maggior accanimento nei suoi confronti) chiuso in se stesso e nei suoi tabù.

- Cleopatra

Di questo personaggio, appartenente alla Dinastia dei Tolomei, di origine greca, si è ormai detto tutto e forse non sempre a proposito.
Tralasceremo la sua celebre storia d’amore con Marco Antonio e il tentativo di seduzione nei confronti di Ottaviano Augusto, né parleremo del suo matrimonio con Giulio Cesare e del suo  arrivo a Roma, cinematograficamente trionfale, ma in realtà osteggiato da tutti, essendo, i fatti, assai noti.
Non parleremo nemmeno della sua morte: aspide o vipera? Di qualunque veleno si trattò, certo è che pose fine alla sua vita.
Parleremo della sua fanciullezza e giovinezza.
Altre Regine con il suo nome l’hanno preceduta: lei era Cleopatra VI, nata ad Alessandria d’Egitto nel 69 a.C., da Tolomeo XII.
Fu l’ultima Regina di quella Dinastia; regnò dal 51 al 30 a.C., anno in cui morì.
Non era particolarmente bella, ma possedeva un fascino assai particolare; era astuta e ambiziosa ed era dotata di una spiccata personalità.
Aveva 18 anni quando morì il padre, lasciando il Regno al fratello, Tolomeo XIII, di soli 10 anni ed a lei il ruolo di Consorte Reale.
Roma, di cui l’Egitto era una Provincia, aveva nominato Pompeo come tutore del ragazzo, il quale godeva anche della protezione del potente eunuco Potino.
Ansiosa di agguantare il potere, Cleopatra fuggì in Siria, dove riuscì ad organizzare un proprio esercito.
Molto colta (parlava perfettamente cinque o sei lingue) e con particolari doti politiche e diplomatiche, cercò di volgere a proprio vantaggio le vicende di Roma, dove era in corso una guerra civile, scoppiata tra Pompeo e Giulio Cesare.
Potino, per compiacere Cesare, aveva fatto uccidere Pompeo e fu proprio quell’episodio che spinse Cleopatra ad osare ciò che nessuno avrebbe osato mai: avvolta in un tappeto, (una storia che ormai tutti conoscono bene) si presentò al cospetto di Cesare, che ne restò davvero impressionato. Fra i due nacque la passione e Cesare, per compiacere la “Sua Regina” fece  uccidere Tolomeo, lasciando a lei il potere assoluto.
La richiamò a Roma, ma… basta vedere il celeberrimo film con la Taylor e Burton, (con accenti hollywoodiani) per conoscere il seguito della storia.
Morto Cesare, Cleopatra cadde fra le braccia di Marco Antonio, suicidatosi questi, tentò di sedurre Ottaviano Augusto e alla fine, vistasi perduta, pose fine ai propri giorni con il veleno di un serpente.



LA  FEDELTA’

Basta un solo nome per riempire un volume sulla fedeltà della donna:


Penelope

La figura di Penelope, casta e fedele, che aspetta trepidante il ritorno dello sposo vagabondo per il mondo con la scusa della guerra, che imbroglia i pretendenti con una tela interminabile, piace molto agli uomini.
Li rassicura.
Piace molto questa figura di donna in eterna attesa: è rassicurante. Viene presa come esempio anche in culture assai, ma proprio assai, posteriori.
Perfino oggi.
Ma era davvero così casta e fedele, la cara Penelope?
L’epoca in cui visse era quella di un Matriarcato in declino e un nascente Patriarcato. Lo testimoniano le vicende legate alle sue nozze con Odisseo, meglio conosciuto come Ulisse.
Questi conquistò la sua mano all’antica maniera matriarcale, vincendo, cioè, una gara di corsa.
(secondo altre versioni, di tiro con l’arco)
Penelope era figlia di Icario, re di Sparta, e della ninfa Peribea e, secondo le antiche usanze, era la sposa che accoglieva lo sposo nella sua casa e non il contrario. (Menelao era diventato Re di Sparta per averne sposato la principessa ereditaria, Elena).
Ulisse, invece, infranse le regole e si portò via la sposa contro la volontà del padre di lei.
Re Icario, infatti, li fece subito inseguire e Ulisse costrinse  Penelope a scegliere fra lui e suo padre.
Penelope scelse Odisseo: senza una parola si calò il velo nuziale sul volto e lo seguì ad Itaca, lasciando la casa paterna e la terra di Sparta.
La figura di Penelope, in realtà, non è solamente emblematica, ma anche un po’ enigmatica, per quello che fu in seguito il suo comportamento.
Omero (ma sarà stato proprio Omero a scrivere l’Odissea? Ormai sono in molti a nutrire dei dubbi) ci parla di lei in tono brillante, bucolico ed un po’ ingenuo. Ben diverso dal tono ruvido e tagliente che si riscontra nell’Iliade, la cui paternità di Omero è indiscutibilmente accettata.
Omero ci lascia con Penelope ed Ulisse riuniti dopo venti anni di separazione: dieci di guerra a Troia e dieci di peripezie attraverso il Mediterraneo.
Penelope, però, si rivela donna prudente e diffidente, oltre che paziente e fedele: prima di concedersi al marito, vuole certezze e per questo lo sottopone alla prova del talamo nuziale e della sua posizione nella loro casa. Dopo, lo premierà generandogli un altro figlio: Polipartide; il primo era Telemaco, poco più che ventenne al ritorno a casa del padre.
Penelope è anche una donna forte e di infinite risorse. Lo ha dimostrato tenendo a freno i suoi pretendenti con vari espedienti prima del ritorno di Ulisse e lo dimostrerà pure dopo la morte di questi.
Sia Ulisse che suo figlio Telemaco, infatti, subito dopo la strage dei Proci (i pretendenti) erano stati esiliati.
Ulisse partì per la Tesprozia, per espiare la sua colpa; qui, però, sposò la regina Callidice che gli diede un altro figlio, Polirete.
Telemaco, invece, raggiunse Cefallenia, poiché, secondo un oracolo, Ulisse sarebbe morto per mano di suo figlio.
Così fu!
L’eroe fu ucciso proprio da uno dei suoi figli, ma non era Telemaco, bensì Telegono, il figlio avuto dalla maga Circe durante il viaggio di ritorno da Troia.
Telegono, che dal padre aveva ereditato lo spirito d’avventura, andava scorrazzando per i mari e finì per raggiungere Itaca.
Ulisse si preparò a respingere l’attacco, ma Telegono lo uccise.
Proprio come aveva predetto l’oracolo: in riva al mare e con l’aculeo di una razza, un aculeo di razza infilato sulla punta della lancia di Telegono.
E ancora una volta Penelope ci sorprende: trascorso l’anno di lutto previsto dalla tradizione, la Regina di Itaca sposa Telegono… proprio così! Sposa l’uccisore di suo marito, figlio della rivale, la maga Circe.
E non è tutto. Raggiunta l’isola di Circe, madre del fratellastro Telegono, Telemaco, a sua volta, impalma la rivale di sua madre.
Edificante!



-  L’EROISMO


L’universo femminile è costellato di donne protagoniste di gesti eroici. E nel quotidiano e in situazioni particolari come guerre, catastrofi ed altro.
La mia scelta è caduta su quattro donne, esempio di coraggio e generosità.

- Colomba Antonietti

Nelle sue “Memorie” Giuseppe Garibaldi di lei scrisse così:
“Quella donna mi ha ricordato la mia povera Anita: anche lei era così tranquilla e coraggiosa in mezzo al fuoco…”
Bella e giovane figlia di un fornaio, Colomba Antonietti, animata da fervente ardore patriottico, aveva sposato il conte Luigi Porzi, ufficiale dell’esercito del Papa.
Luigi, disertato l’esercito papalino, si unì a Garibaldi e partì alla difesa di Roma.
La giovane moglie volle seguirlo in battaglia, dove si distinse con valore, e per farlo indossò vesti di semplice soldato e si fece attendente del marito.
Durante un aspro combattimento presso una villa detta “Il Vascello”, il 30 giugno del ’49, una pallottola colpì a morte il giovane attendente. Solamente allora, di fronte al disperato dolore di Luigi, accorso per coglierne l’ultimo respiro, i compagni scoprirono che il giovanissimo soldato era una donna e le resero l’omaggio dovuto: quello riservato agli eroici caduti.

- Onorata Rodani

Anno 1423. Un’altra donna muore in battaglia dopo un aspro combattimento; per tre anni aveva combattuto valorosamente nelle file dell’esercito di Francesco Sforza, impegnato contro Venezia.
Le sue ultime parole furono:
“Onorata vissi e onorata muoio.”
Onorata Rodano era un’apprezzata pittrice e il conte Cabrino,  Signore di Castelleone, nei pressi di Cremona, le affidò l’incarico di affrescare alcune stanze del suo castello.
Oltre che brava, Onorata era anche molto bella  e schiva.
La sua avvenenza accese le brame di un amico del conte. Invano questi continuava ad invitarla ai banchetti ed ai sontuosi festini di corte. Assorbita dal suo lavoro, la ragazza li rifiutava sistematicamente.
Contrariato ed offeso, un giorno, l’innamorato respinto la raggiunse sull’impalcatura dove lei lavorava e tentò di usarle violenza.
Nel tentativo di difendersi, Onorata lo ferì mortalmente con la lama che usava per raschiare la parete. Per evitare il castigo, la ragazza fuggì e, travestita da soldato, entrò nelle truppe dello Sforza e combatté per oltre tre anni. Fino allo scontro in cui fu colpita a morte.
I compagni si chinarono per soccorrere il valoroso cavaliere morente e solamente allora si accorsero di avere di fronte una giovane donna.


- Maria Canavese

Basta un solo gesto eroico nel corso della vita di una persona per renderla immortale. Maria Canavese, una giovane donna che viveva sulla sponda del lago di Orta, lo compì, ma lo pagò con la vita.
Correva l’anno 1529 e le truppe dell’imperatore Carlo V, in guerra con il re di Francia Francesco I per il dominio sull’Italia, avevano assediato la zona intorno al lago e fissato un presidio nella Torre di Buccione, dove era stata installata una campana per chiamare a raccolta il popolo in caso di pericolo.
Maria Canavese resasi conto della situazione, si avvicinò alla Torre. Tra le braccia aveva suo figlio, di pochi mesi, e in mano una fiasca di vino.
I due soldati di guardia non si insospettirono alla vista di quella giovane madre che offriva loro del vino e ne bevvero fino ad ubriacarsi.
Ne approfittò la giovane per salire sulla Torre e suonare le campane e dare l’allarme.
Gli abitanti del posto accorsero subito e le truppe di Carlo V furono messe in fuga, ma l’eroica Maria era già stata trucidata assieme al figlioletto.


- Pocahontas

Cinema, letteratura e cartoni animati si sono occupati di questa eroina d’oltre Oceano.
S’era nel 1607 e l’esploratore John Smith, sbarcato in Virginia, stava esplorando il corso del fiume Chickhoming.
La spedizione si scontrò più volte con gli indiani del posto e nell’ultima imboscata, tutti i componenti della spedizione vennero massacrati.
Tranne smith, che fu fatto  prigioniero e condotto alla presenza del capo Powhatan che ordinò immediatamente di metterlo a morte.
Smith fu fatto appoggiare con la testa su un masso, pronta per essere fracassata a bastonate. Fu a quel punto che Pocahontas, figlia del capo, appoggiò la sua testa su quella del prigioniero.
Smith ebbe salva la vita e la principessa, innamorata di lui, si adoprò moltissimo per riappacificare Inglesi ed Indiani.
Invitata in Inghilterra e accolta a corte però, Pocahontas morì poco dopo, uccisa dal clima inclemente di Londra.



-   LA  PERFIDIA

Le cronache degli ultimi tempi ci hanno abituato ad episodi di violenza inaudita compiuti da donne: madri che uccidono figli, figlie che uccidono madri, mogli che eliminano mariti,…
E’ frutto della rilassatezza dei moderni costumi? No, davvero! Le cronache di ieri ci fanno conoscere questa stessa tipologia di donna. Ecco qualche esempio.

- Lucrezia Malpigli

Lucrezia Malpigli e Lelio Buonvisi erano una giovane coppia dell’aristocrazia di Lucca. Belli, ricchi e felici, erano sposati da soli due anni quando arrivò la tragedia.
Una sera del 1591, mentre rincasavano da una funzione religiosa, furono assaliti da tre uomini armati di pugnali. Due dei malviventi colpirono a morte il povero Lelio, mentre un terzo tratteneva Lucrezia che, inginocchiata per terra nel suo candido abito bianco, gridava disperatamente: “Ma perché?”
I due, infatti, non avevano nemici e quell’aggressione non poteva avere altro scopo se non la rapina, ma a nessuno dei due era stato portavo via nulla.
Dopo qualche tempo i malviventi furono acciuffati e sotto tortura confessarono la terribile verità: erano stati assoldati dalla diabolica Lucrezia e dal suo amante, un certo Massimiliano Arnolfini: la veste bianca era proprio un segnale per gli assassini.
L’Arnolfini riuscì a fuggire, ma, catturato, di lì a poco diventò pazzo; Lucrezia, invece, finì i suoi giorni segregata nella cella di un convento.


- Maria Brinviliers
      
Maria, marchesa di  Brinviliers, fu condannata per aver sterminato con il veleno l’intera famiglia: padre, fratello, sorella e perfino il marito. Lo scopo era quello di impadronirsi dell’ingente patrimonio familiare.
Una folla inferocita l’accompagnò lungo il percorso per il patibolo ed a stento le guardie  la sottrassero al linciaggio.
Amante di un ufficiale dell’esercito che, ospite della Bastiglia aveva diviso la cella con un noto alchimista di nome Niccolò Exili,  alla donna non fu difficile procurarsi il veleno.
La vita dispendiosa, sbarazzatasi di parenti e congiunti, che aveva preso a condurre, insospettì gli inquirenti. Riesumati i cadaveri e trovati nei poveri resti ragguardevoli tracce di veleno, fu chiaro a tutti che la diabolica donna aveva agevolato il trapasso dei familiari.
L’amante riuscì a fuggire e ad evitare il castigo, ma la donna fu arrestata e condannata a morte. La sentenza s fu eseguita nel luglio del 1676, tra le urla di una folla inferocita.



LA  PERSECUZIONE


La persecuzione – recita il dizionario - è l’insieme dei tormenti e dei martirii patiti dal Cristianesimo nascente.
Naturalmente si può essere perseguitati per molti altri motivi, oltre che quelli religiosi: politici, filosofici, morali, etnici… e le donne, forse, più ancora degli uomini. Vediamo alcuni esempi, qui di seguito, presi non propriamente a caso:


- Cecilia                        

Vittima del Paganesimo, è una santa che tutti conoscono; molte donne ancora oggi portano il suo nome: Cecilia.
Regnava l’imperatore Alessandro Severo.
A Roma, una nobile fanciulla diciassettenne, appartenente alla gens Caeciliae, andò sposa ad un certo Valeriano. La ragazza riuscì a convertirlo al Cristianesimo e con lui, suo fratello Tiburzio.
Dopo il martirio dei due, anche Cecilia fu arrestata e sottoposta a torture. Subì prima la tortura del fuoco, ma le fiamme la lasciarono miracolosamente indenne. Sconcertati, ma determinati ad ucciderla, i suoi persecutori finirono per decapitarla.
Numerose leggende sorsero, nel Medio Evo, intorno a questa figura di Santa. Non è ancora chiaro per quale motivo sia stata associata all’Arte e soprattutto alla Musica; certo è che ancora oggi viene considerata Patrona dei Musicisti.



- Ipazia

Meno conosciuta di S. Cecilia   (almeno nel mondo occidentale), Ipazia è stata una vittima del Cristianesimo.
Donna di grande cultura, Matematica, Astronoma e Filosofa, Ipazia visse nella seconda metà del terzo secolo a.C. ad Alessandria d’Egitto.
Era a capo di una scuola filosofica neo-platonica e della Filosofia diceva:
“… è uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della Verità.”
Il suo pensiero, libero e laico, attirava ai suoi insegnamenti una folla sempre più numerosa e ciò mise in allarme la Chiesa Cristiana nascente di Alessandria.
Sedeva, all’epoca, sul seggio episcopale della città, un certo Cirillo, le cui mire erano quelle di trasformare l’Episcopato in un Principato.
Il vescovo Cirillo si scontrò più volte con Oreste, il Prefetto di Alessandria: il secondo difendeva le proprie prerogative e il primo tentava di dominare la cosa pubblica oltre il lecito consentito.
Tra i due il conflitto fu inevitabile e assai acceso e fu in quel clima che maturò il delitto: Ipazia, amica personale del Prefetto, era ritenuta responsabile della mancata riconciliazione dei due.
Il vescovo Cirillo, per di più, era roso dall’invidia per il grande successo riscosso dalla donna ed era preoccupato dei suoi insegnamenti: una folla sempre più numerosa  frequentava la sua casa e accorreva alle sue lezioni. Tramò per la sua morte e fomentò contro di lei i suoi seguaci.
Era un giorno del marzo del 415 d.C. quando un gruppo di cristiani, guidati da un certo Pietro, attesero che la donna rincasasse.
Ipazia fu trascinata giù dal carro e condotta in una chiesa. Qui, ai piedi dell’altare, fu denudata, uccisa  e fatta a pezzi e i pezzi furono bruciati.
Respirava ancora quando le cavarono gli occhi.


- Manon Roland

Maria Giovanna Philippon, detta Manon, moglie del conte Roland de la Platière, ministro di Luigi XVI, fu una donna di vasta cultura, apprezzata e ammirata da tutti. Nel suo salotto letterario, a Parigi, si discuteva di arte, Letteratura, Politica, Filosofia; era, infatti, frequentato dai Girondini, intellettuali di idee moderate.
Come la storia racconta, i Girondini furono ben presto perseguitati dai Rivoluzionari più spietati, come Danton e Robespierre, proprio per la moderatezza delle loro idee.
Robespierre denunciò il conte Roland come traditore e nemico del popolo; Roland riuscì a fuggire e mettersi in salvo, ma Manon fu arrestata e condannata a morte.
Celebre la frase che pronunciò mentre, a bordo della carretta che la portava al patibolo, passò davanti alla statua della Libertà:
“Libertà… quanti delitti si compiono in tuo nome!”
Tre giorni dopo il conte Roland, appresa la notizia della sua morte, si dette morte a sua volta.

- Caterina Medici

Il numero più elevato di donne immolate sull’altare della Persecuzione è da attribuire alla superstizione e la piaga più purulenta della superstizione fu la “caccia alle streghe”.
Furono tante le donne, accusate di stregoneria, che finirono sul rogo. Qui voglio ricordarne una soltanto: Caterina Medici, vissuta nel 1600.
Caterina era una ragazza molto bella, cresciuta in un borgo in provincia di Pavia e trasferitasi a Milano come domestica.
Furono la sua bellezza, la gelosia e la superstizione, a spingerla verso una morte orribile.
Giunta a Milano, lavorò nella casa di un ufficiale dell’esercito che, per sua sfortuna, si innamorò perdutamente di lei, tanto da indurre la gelosissima moglie ad accusarla d’aver usato pratiche magiche per sedurre il marito.
In seguito Caterina servì nella casa di un nobile, un certo Melzi, che, subito dopo il suo arrivo, cominciò ad accusare  forti dolori di stomaco.
Tanto bastò a Martino Delrio, autore di un insulso quanto pericoloso ed apprezzato (all’epoca) Trattato di Stregoneria, per accusare di stregoneria la povera Caterina.
Ad avvalorare la sua accusa ci pensò un altro fanatico personaggio: Ludovico Settale, medico, che riscontrò strane macchie sul corpo della ragazza.
“… opera del demonio.” sentenziò.
Sottoposta ad indicibili tormenti, la ragazza “confessò” tutto quanto le fu ordinato di confessare. Qualche giorno dopo salì sul rogo per essere bruciata viva.


-   LA  MATERNITA’

Non esiste termine (né si potrebbe inventarlo) capace di esprimere la grandiosità e l’unicità del legame madre-figlio. Per questo citerò due soli nomi: la più amata e la più esecrata delle madri.

- Cornelia: madre esemplare

Figlia minore di Scipione l’Africano, Cornelia andò sposa, intorno al 175 a.C. a Sempronio Gracco; questa donna, ancora oggi, è assunta a simbolo dell’orgoglio materno.
Donna colta e di forte carattere, scrisse Lettere e Consigli rivolti ai numerosi figli; dodici, per la precisione, di cui, però, sopravvissero solo tre: Sempronia e i due famosi Gracchi, Tiberio e Caio.
Dopo la morte del marito, la matrona si dedicò completamente alla cura dei figli, rifiutando perfino di sposare il faraone Tolomeo VIII e la possibilità di diventare Regina d’Egitto.
Si racconta che ad un’amica che mostrava con orgoglio i propri gioielli, Cornelia abbia risposto:
“Haec urnamenta mea!”, indicando i figli, Caio e Tiberio, che stavano giocando in un angolo del giardino.
Da sempre Cornelia è considerata la madre ideale non solo per le sue virtù, ma anche per il carattere sobrio ed austero che la contraddistingueva.

- Procne: madre snaturata

Procne era figlia di Pandione, re di Atene, e moglie di Tereo, re di Tracia. Sventura volle che Tereo si innamorasse di Filamela, sorella di Procne, lasciandosi ammaliare dal suo canto.
Per averla, Tereo ricorse all’inganno: segregò la moglie, facendola credere morta, e chiese in moglie la di lei sorella, Filamela.
Saputa la notizia, Procne minacciò di avvertire il padre e la sorella; Tereo, per impedirglielo, le fece mozzare la lingua e la nascose nel quartiere degli schiavi.
Procne, però, riuscì lo stesso ad avvertire la sorella, nascondendo un messaggio nel manto nuziale ricamato dalle schiave per la sposa.
Le due sorelle, finalmente ricongiunte, si vendicarono del fedifrago marito nel modo più atroce: uccisero Iti, il figlioletto che Procne aveva avuto da Tereo e ne fecero mangiare le carni al padre.
Quando Tereo si rese conto dell’orrido pasto consumato, le uccise entrambe.
Gli Dei, dice la leggenda, trasformarono i tre in altrettanti uccelli: Filamela fu un unignolo, Prone una rondine e Tereo un corvo.
Naturalmente si tratta di allegorie, ma in qualche modo, gli Antichi sentivano la necessità di farsi una ragione dell’esistenza del male!

- L’IMPLACABILITA’

Esempi di donne che non si fermano davanti a niente sono piene le cronache moderne così come quelle del passato. Il mito e la storia ci tramandano alcuni nomi:

- Ginevra Bentivoglio

Donna assetata di potere, Ginevra Bentivoglio, moglie di Giovanni Bentivoglio, Signore di Bologna, adoprò tutta la ferocia e la crudeltà di cui era capace, per conquistarlo; per la stessa ragione, però, dopo averlo conquistato, finì per perderlo.
Riuscì a sbarazzarsi di nemici ed avversari usando ogni mezzo. Ordinò la strage della potente famiglia dei Malvezzi e rivolse la sua attenzione all’altra potente famiglia, quella dei Marescotti.
Per evitare una nuova carneficina, Giovanni Bentivoglio, uomo d’indole mite e accomodante, fece rinchiudere i quattro fratelli Marescotti in una fortezza, ordinando alla moglie di non toccarli.
La donna, invece, si servì di Ermes, il più crudele dei suoi figli, e di un gruppetto di sicari per massacrare i quattro fratelli: Giasone, Ludovico, Agesilao e Agamennone.
La ferocia di quel delitto, però, segnò la fine dell’implacabile donna. Papa Giulio II inviò a Bologna un esercito costringendo la donna e il marito a fuggire. Alla notizia della completa disfatta e della distruzione della sua casa, Ginevra Bentivoglio morì sul colpo.

- Medea

Altrettanto feroce e implacabile fu la tragica figura di Medea, considerata fin dall’antichità come il “genio del male”.
La tradizione micenea la vuole al fianco dell’eroe Giasone, uno degli Argonauti partiti dalla Grecia alla conquista del “Vello d’Oro”, durante il viaggio di ritorno dalla Colchide.
Medea lo aveva sempre aiutato con le sue arti magiche, in tutti i modi, non disdegnando neppure di far ricorso al delitto per spianare la via al suo uomo.
Per tutta risposta, giunti a Corinto, Giasone la cornificò con la bella Creusi, figlia del Re di quella città, chiedendola in moglie.
La vendetta di Medea fu terribile; il suo rancore, implacabile.
Come dono di nozze alla nuova sposa di Giasone, ella inviò una veste nuziale che prese fuoco provocando la morte di Cresi e l’incendio del palazzo. Non ancora soddisfatta, Medea giunse ad escogitare e mettere in atto la più orrenda delle punizioni per il marito infedele: quella di uccidere due dei figli avuti da lui.


  



-  L’ARDIMENTO


Anche di donne coraggiose, l’Universo storico e mitologico è davvero assai ricco, ma io mi limiterò a citare un solo esempio, per me molto significativo:


- Adrienne Bolland

La sua impresa resterà per sempre negli Annali dei “Voli Sperimentali” di tutto il mondo.
A soli venti anni, in un’epoca tutta al maschile, l’intrepida Adrienne prese il brevetto di pilota ed entrò a far parte di una squadriglia acrobatica; in una gara riuscì perfino ad infilare 98 “giri della morte”, che resterà un record femminile ancora oggi imbattuto. Compì anche la traversata della Manica con successo.
La sua più grande impresa, però, fu il sorvolo della Cordigliera delle Ande;  ben cinque uomini, prima di lei, avevano tentato e fallito, lasciandoci la vita.
Adrienne ci riuscì e la cosa suscitò grande entusiasmo in tutto il mondo.
Era il 1° aprile 1921 e Adrienne aveva solo 24 anni.
Il volo di andata (Buenos Aires – Santiago) avvenne in tutta tranquillità e durò solo quattro ore, ma quello di ritorno, per poco non le costò la vita.
Il piccolo aereo si scontrò in volo con uno stormo di condor, uscendone con l’elica spezzata. Adrienne fu costretta ad un atterraggio di fortuna in cui restò ferita. Soccorsa da una tribù di indios, vi restò per più di un mese, fino a quando non raggiunse la costa e fu presa a bordo da una nave.
Quando riuscì a tornare in patria, ormai tutti la davano per morta o scomparsa nella foresta.








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