MUMMIA!
Un termine che evoca terrificanti, hollywoodiane scene di “zombi” che
avanzano barcollando e perdendo pezzi di bende. Questo termine, perciò, è
diventato sinonimo di cosa raccapricciante
e spaventevole.
Mummia o corpo imbalsamato?
Naturalmente non è la stessa cosa, anche
si tende a definire “mummia” qualunque corpo conservato, proveniente dal passato.
La mummificazione è un processo naturale
di conservazione del corpo mentre l’ imbalsamazione è un processo artificiale.
Nel primo caso occorrono: assenza totale
di umidità e temperature elevatissime oppure bassissime. (vedi la mummia del
Similao).
Nel secondo caso, invece, occorrono
balsami (da cui il termine) ed altre sostanze necessarie al processo di
conservazione.
Gli Antichi Egizi hanno praticato la
mummificazione fino alla III o IV Dinastia dei Faraoni; in qualche caso anche
durante la VI Dinastia, quando, cioè, per le sepolture (a parte la Piramide)
venivano scelti siti desertici ad elevata temperatura e scavando in profondità.
A partire dalla VI Dinastia e soprattutto
durante il Nuovo Impero, quando
la capitale si spostò da Memfi a Tebe, nella Valle, dove l’umidità era assai
più elevata, nacque l’esigenza di trovare un rimedio all’azione di
decomposizione dei corpi.
Il processo di imbalsamazione era lungo
ed elaborato e poteva durare fin anche a 60 – 70 giorni; le operazioni erano
numerose.
Per primo si estraeva il cervello,
attraverso le narici e con l’ausilio di un martelletto ed attrezzi chirurgici;
il cuore, invece, salvo rare eccezioni, restava in loco. Gli occhi venivano sostituiti con globi o
altro materiale.
Successivamente si praticava un’incisione
di una decina circa di centimetri sul fianco sinistro del corpo, sufficiente
all’imbalsamatore (un medico, perfetto conoscitore della struttura interna di
un corpo) di introdurvi una mano per estrarre i tessuti molli: intestino,
fegato, polmone e stomaco.
Questi, la loro volta, venivano trattati
e conservati, il più integralmente possibile, in appositi vasi detti canopi ,
dal nome della città in cui si producevano: Canopo.
Al loro posto nella cavità, venivano
introdotte sostanze varie: profumi, balsami, resine, sabbia, ecc…
Poiché non esisteva ancora pratica di
sutura delle ferite e l’apertura tendeva ad allargarsi ed a rigettare il
materiale introdotto, si ricorse all’uso di bende.
All’inizio si trattò di un bendaggio
leggero; in seguito, però, a partire dalla XVIII Dinastia, quello del bendaggio (fino a venti strati) divenne un
vero rituale durante il quale ogni parte del corpo veniva affidata alla
protezione di una specifica Divinità.
Sostanziale, dunque, la differenza tra
mummificazione ed imbalsamazione. Ciò nonostante, si indica un corpo sottoposto
a processo di conservazione, con un solo termine: MUMMIA.
Ma da dove deriva questo termine?
All’inizio dell’avventura egizia, alcuni
studiosi cercavano di studiare le
sostanze che facevano da collante alle bende; ancora oggi, alcune di quelle
sostanze sono rimaste sconosciute: forse provenienti da piante estinte o,
forse, altro.
Si scoprì una sostanza scura ed appiccicosa,
simile al bitume.
Il bitume, in Egitto, veniva indicato con
termini quali: mummif o mumiya. Si usò lo stesso termine per indicare quel
corpo oggetto di studio e tutti gli altri: MUMMIA, per l’appunto
E’ facile distinguere una mummia da un
corpo imbalsamato: la prima è sempre coperta da un semplice sudario, il secondo
è avvolto nelle bende.
Nel Museo Egizio di Torino ve ne sono di
assai interessanti e facili da riconoscere nella loro diversità.
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