Infreddolito e
triste, nell’attesa del sonno che non arrivava, Djoser pensava alla culla
scurita dal tempo ma ancora attaccata al soffitto di casa. Le sue mani
cercarono il filatterio legato al collo, un astuccio di canne contenente
iscrizioni incise su un frammento di papiro; formule per propiziarsi il sonno.
Glielo aveva messe al collo sua madre.
Improvvisamente
avvertì la sensazione di non essere più solo e che la luce della Luna
lo scaldasse quasi più delle
fiamme del bivacco. Aprì gli occhi e balzò a sedere: sdraiato di fronte a lui
dall’altra parte del fuoco, c’era uno sciacallo.
Superato il primo
moto di timore, Djoser restò a guardarlo. Capì subito che non si trattava di
uno sciacallo comune. Avvolta dal chiarore della Luna e di quello delle fiamme
del bivacco, la sagoma dello sciacallo si stagliava nitida contro il cielo blu
intenso della notte. Nero come la pece, era assai più grosso di uno sciacallo.
Più grosso perfino di un lupo. Collo possente, muscoli poderosi sotto un manto
di pelo raso, lo sciacallo si sollevò sulle zampe anteriori e lo fissò dritto
negli occhi.
Un brivido
attraversò la schiena del ragazzo, incapace di sottrarsi al richiamo di quello
sguardo obliquo e verde. Lo vide tendere verso di lui il capo dal muso
allungato ed aguzzo, spalancare le fauci e mettere bene in mostra le potenti
mandibole e le zanne appuntite. Ma non era un atto di minaccia, bensì la posa
che lo sciacallo assume quando ulula alla luna. L’ululato tipico, dicevano al
cantiere, che lancia nei periodi che precedono la pioggia: fenomeno assai raro
nel deserto.
Djoser comprese
che qualcosa di prodigioso stava per accadere.
Attese. Ogni cosa
intorno a lui pareva attendere un prodigio, perché quello era un luogo
“Divino”, dove era possibile infrangere le
barriere del mistero e delle dimensioni: perfino i Faraoni lo avevano
scelto per fissarvi le loro dimore eterne.
E il prodigio
accadde. Le zanne dello sciacallo, sporgenti fuori
della bocca,
lentamente rientrarono; così pure le unghie, lunghe e scure. Il muso, allungato
e stretto, si appiattì. Nelle orbite oblique, gli occhi fiammeggiarono. Umani
o, forse, divini. Il corpo, rannicchiato e curvo, si alzò; pian piano si
allungò. Il pelo, nero e lucente, scivolò dentro il cuoio. Risucchiato. Fino a
scomparire. Alta, sempre più alta, la sua figura sovrastò, potente e fiera,
quella del ragazzo. Anubi era davanti a Djoser e il ragazzo, più attonito e
sbigottito che mai da quella stupefacente
metamorfosi, lo
guardava ammutolito.
“Oh, Anubi!
- proruppe - O Signore del Cammino
Nascosto!”
“Perché non
riposi?” domandò lo Sciacallo Divino e, come già nei meandri della Piramide, la
sua voce fece fremere l’aria d’intorno e minacciò di spegnere le fiamme del
bivacco.
“Il Deforme Bes,
Dispensatore delle Sabbie Benefiche del Sonno, si tiene lontano dal povero
Djoser. - si lamentò il ragazzo- L’hai
visto aggirarsi qui intorno, o Divino Sciacallo?”
Anubi non rispose
a quella domanda, ma ne fece una a sua volta:
“Hai paura di
me?”
Un poco, quella
domanda stupì il ragazzo. Il Signore
del Cammino- Nascosto, si disse, sapeva ben leggere dietro la sua
fronte e dentro il suo cuore e conosceva già la risposta. Così, decise di
osare. Osò guardarlo in faccia. Osò entrare nel suo fulgore divino. Sapeva bene
di poterne restare incenerito. Stranamente, però, non aveva di questi timori. I
suoi occhi scuri penetrarono tranquilli e sereni nello sguardo della più misteriosa e temibile fra tutte le
Divinità e Anubi gli permise perfino di entrare dentro la sua mente.
L’animo di Djoser
si dispose a nuove emozioni. Era certo che lo Sciacallo Divino gli avrebbe
mostrato i segreti della Duat, il Mondo-Rovesciato di cui
era il Signore, che egli aveva sempre immaginato come un’enorme caverna
tenebrosa e irta di insidie, in cui una folla di anime defunte vagavano spaurite alla mercè di terrificanti creature.
Fece un cenno del
capo per dire che sì, aveva paura.
Il Nocchiero
della Duat distese le labbra in un sorriso che il ragazzo non aveva
visto mai sulla faccia di alcun essere umano. “Non aver paura. – disse - Tu nascesti in circostanze particolari e per
questo possiedi virtù eccezionali. Tu sei un ragazzo curioso in cerca della
Conoscenza. Sai che cosa è la Conoscenza?”
Il ragazzo scosse
il capo.
“La Conoscenza,
Djoser, allievo di Ptha, è la capacità di sollevare il velo di un mistero che
ne nasconde un altro, senza restarne
sopraffatti. Sollevare veli,
però, comporta rischi. Tu, Djoser, figlio di Pthahotep, hai paura di osare?”
Djoser osò e la
sua mente s’inoltrò ardita in quella del Dio e si confuse con essa; i loro
pensieri si avvilupparono, simili a due cobra attorcigliati.
La prima
sensazione che il sangue di Djoser conobbe e acquisì da quella “fusione”, fu un senso di gloria, percepito
da tutte le Identità che componevano la sua essenza umana. Soprattutto lo
Spirito-Ka e l’Anima-Ba danzavano inebriati. Anche il Cuore-Ib esultava e
perfino la l’Ombra-Shut brillava come un sole riflesso in uno
stagno, tanto era lo Splendore
all’interno del Signore del Mondo-di-Sotto. Una meraviglia
infinita. Una purezza totale. Una generosità ed una tenerezza incalcolabili.
Comprese perché
Ka-beut, la Dea-Freschezza, avesse scelto di essere Sua figlia. C’era
una Luce Infinita dentro il Signore
delle Tenebre. Una fiamma che splendeva in mezzo al tenebrore con la potenza
del balsamo che libera da ogni dolore e paura; un fulgore grande quanto lo
stesso cielo. Ma, proprio proveniente dal centro di tanto fulgore, Djoser sentì
irrompere dentro di lui una sensazione nuova e improvvisa, simile all’aria che
cambia per un temporale in avvicinamento o altro grosso evento atmosferico.
Quel cambiamento gli comunicò una pena ed un’inquietudine particolari, poichè
erano la pena e l’inquietudine di Anubi: infinite quanto la Sua generosità. Non
erano una pena e un dolore qualsiasi. Erano emozioni che non avevano nomi per
essere definite. C’era in quel dolore tutto lo sconvolgimento della Palude in
cui Horo e Seth si erano scontrati per l’ultima volta; tutta la tristezza del
distacco della Celeste-Nut dall’amato Geb, Signore della Terra.
La sua mente non
era in grado di contenerle. Barcollò e sentì il corpo diventare rigido e
pesante. Anubi lo sostenne; quasi lo strinse a sé. Immediatamente dopo, i loro
pensieri si dissociarono, ma la voce del Dio tenne la mente del ragazzo sospesa
nell’aria ancora per qualche attimo, come una goccia di sangue appesa alla
punta di un pugnale, prima di staccarsi e dire:
“Vorresti
conoscere la storia di Anubi, figlio di Osiride?”
“O Divino
Sciacallo! - proruppe il ragazzo - Vuoi degnarti di parlare a Djoser di
Questioni Divine?”
“Ascolta! - fece
semplicemente Anubi, con quella voce che di certo atterriva i Kau dei
defunti quando li traghettava attraverso le vie della Duat, ma che, pur
facendolo rabbrividire, non lo spaventava più - Questa non è la storia che si
sente per bocca dei preti. Questa è la storia vera degli Dei. Ascolta!... Ra,
Padre degli Dei, la cui sostanza è Fuoco e Calore, cercava una sposa di opposta
sostanza che non restasse incenerita dal suo fulgore. La
trovò in Nut,
Signora del Cielo. Ra, però, non disdegnava altre
compagne… ”
Djoser ascoltava e taceva.
brano tratto dallibro di Maria Pace:
"DJOSER e lo Scettro di Anubi"
chi volesse conoscere le straordinarie avventure di Djoser, può richiederlo pressp
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