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Nei tempi in cui si adoravano gli Spiriti di cui si credeva fossero animati gli elementi della Natura si divinizzò il fulmine che atterra, la fiamma che divora, il vento che scuote, terrificanti fenomeni che contribuirono alla costruzione delle fondamenta del mito greco. Più tardi l’uomo riuscì a non farsi più solo atterrire dalla potenza del Creato ma anche ispirare: emozione, stupore, poesia e i Poeti crearono I MITI, favole che cantavano la sua bellezza, pericolosità e generosità.

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martedì 17 luglio 2012

La GIUSTIZIA nell'Antica Roma


Nella Curia, maestosa e severa, si amministrava la Giustizia solo per i casi di massima gravità come tradimento o Lesa Maestà; per gli altri processi erano riservate le Basiliche.

L’atmosfera era cupa e pesante. L’aula era immersa in un silenzio surreale. Insolito nelle abituali riunioni del Senato; fuori della Curia, invece, se non era ancora sommossa, era sicuramente grande manifestazione di dissenso. Sulla piazzetta antistante, sui gradini della adiacente Basilica Emilia e tra i Rostri, andava formandosi una folla sempre più numerosa. Non era occupata con le scacchiere tracciate per terra allo scopo di trattenerla impegnata tra un processo e l’altro, come si faceva ogni giorno, ma occupata in accese contestazioni con i pretoriani di guardia nel Foro.

Confuse tra la folla c’erano anche Tracia e Claudia Pudente, la sorella di Seilace e la moglie del suo difensore.

C’erano anche altri volti. Molti volti che la gente conosceva bene e la cui presenza in quel luogo contribuiva ad alterare gli animi.

C’erano i gladiatori Milos il trace, Valentinus il reziario, Sabina la cacciatrice e molti altri ancora. Non portavano armi, perchè era loro proibito, ma erano armati di un furore assai evidente.

Il malumore della folla aumentò e la sua eco raggiunse l’interno della Curia dove a Capitone, uno degli accusatori, era appena stata concessa la parola.

Patres Conscripti.” esordì, con voce piena di acredine, facendo

seguire una lunga pausa in cui si udivano solo nervosi respiri.

I Patres erano scelti fra nobili e patrizi; i Conscripti, invece, fra appartenenti all’Ordine del Ceto Equestre. 

Patres Conscripti. -  ripeté; ancora una pausa, più lunga della precedente - Patres Conscripti!” disse per la terza volta puntando l’indice della mano sinistra contro gli accusati.

Capitone esibiva con eccessivo compiacimento l’anulus aureus senatoriale che con la tunica guarnita della  Latus Clavus, una lunga striscia di porpora di derivazione etrusca e il calceus senatorius,  costituivano la tenuta senatoriale

“Mi è già accaduto di trovarmi in questa Assemblea per richiedere severità di giudizio contro qualcuno e mai mi sono trovato in mano prove più schiaccianti come contro i due qui presenti, accusati di cospirazione e tradimento. – ancora un pausa studiata e  calcolata – Sbagliate se credete in una qualche possibilità di estraneità ai fatti  che ho già ampiamente esposti nelle precedenti sedute e che per la terza volta insisto nel formulare: sedizione ed incitamento alla rivolta da parte di Seilace, gladiatore e principe dei Siluri, popolo sottomesso a Roma… questo barbaro, da noi accolto con tutti gli onori e il rango! – un’ennesima pausa, per schiarirsi la voce, poi - Accuso anche il tribuno Marco Valerio Flavio di chiamata alle armi di ex legionari e di arruolamento di contadini nei ranghi del Vexillum della Legione X, accampato alle porte di Roma, per appoggiare la rivolta del generale Galba, ai danni dello Stato, nonché di Lesa Maestà! Per detti delitti, invoco la massima pena.”

“Dove sono le prove? – si alzò, potente e severa, la voce di Cleonte - Hai mosso accuse meritevoli di massima pena, ma non hai mai esibito alcuna prova concreta a loro carico.”

Un cenno e una porta laterale si aprì; sull’uscio comparve un giovane scortato da due pretoriani, che riconobbero subito: era il gladiatore Sabino, nemico giurato di Seilace.

“Eccolo, Patres Conscripti, il testimone dei fatti che pongo alla vostra attenzione. - continuò Capitone - Parla, Sabino.”

Sabino parlò. Riferì di complotti consumati all’interno del Ludus Gladiatorius su istigazione di Seilace il mirmillone e fra i legionari presenti a Roma, su incitamento del tribuno Flavio, allo scopo di appoggiare la rivolta di Galba contro Cesare.

Erano menzogne ed era chiaro a tutti. Mentire era una prassi comune in un processo, uno stratagemma se non legittimo, giustificato. Spettava all’accusato smontare accuse e menzogne.

Cleonte balzò dal seggio e raggiunse il gruppetto.

“E così, tutti hanno rivelazioni da fare! – replicò. Il greco conosceva bene l’arte di giostrare con le parole - Tutti hanno nomi da pronunciare, accuse da lanciare, fatti da rivelare! – e qui, una pausa carica di palese rimprovero - La metà dei cittadini di Roma sembrano diventati accusatori dell’altra metà, ma… - e qui, una seconda pausa, per permettere al braccio sinistro seminascosto dalla toga di compiere un semicerchio puntato sull’intero auditorio  – ma si cerca di arrivare primo ad accusare, per non essere a propria volta accusati. E di cosa? Oh, di tutto… anche di quante volte al giorno si frequenta la latrina! – un primo brusio tra i presenti - Non si distinguono più gli amici dai nemici, i parenti dagli estranei: hanno tutti paura… di fatti veri e di fatti immaginari… - le parole, come voleva l’arte oratoria, erano lente e dosate, il tono prolungato ed enfatico. Trascinante - A furia di inventare complotti e tradimenti e di metterli in conto ad avversari o a scomodi nemici, come il principe Seilace o il tribuno Marco Valerio Flavio... Il tribuno Flavio - ripeté, intenzionalmente  e ponendo l’accento  sul cognome del giovane amico - di schietta famiglia militare e nipote del generale Vespasiano, di cui Roma si pregia come di un Vexillum. - e anche questa volta non sfuggì a nessuno la palese intenzione nella pronuncia di quell’ultimo termine - Le prove bisogna circostanziarle!...”

Continuava a parlare, il giurista Cleonte, con quella lucidità ed essenzialità di linguaggio, drammatica e cruda, talvolta brutale, che risvegliava tutti gli echi di quell’aula cupa. Parlava da consumato giocoliere della parola, capace di esprimere con  chiarezza il dramma contenuto in quella farsa. Alzava e smorzava i toni della voce, serrava o allentava la stretta della dialettica.

“Il senatore Capitone ha chiesto il supplizio... E’ questo che intendeva con le parole: massima pena. - riprese dopo breve ma tesissima pausa - Non  ha il coraggio di pronunciare la parola supplizio!... Pena capitale… sembra avere un peso più lieve. Nessuno ha il coraggio di pronunciare la parola supplizio…. Supplizio! E sapete perché? Perché questa accusa di Attentato allo Stato e Lesa Maestà, o Padri Coscritti, arriva da un atleta battuto con le armi che cerca vendetta con la calunnia ed è sostenuta da uno uomo spregiudicato in cerca di censi per un cavalierato nuovo come una moneta appena uscita dalla zecca!.... - un mormorio accolse quelle parole; Capitone e Sabino fremevano di collera, ma il greco non aveva ancora terminato l’arringa – No! No, Patres Conscripti. Non la si può chiudere con una sepulcralis lapis, una questione che poggia sulla menzogna e la calunnia. Questo servirebbe solo a nutrire il malumore delle folle e sarebbe un’iniquità per un’Assemblea onesta e giusta come questa!”

Ancora brusii nella vasta stanza; i senatori parevano sempre più poco propensi a prendere la parola.

Fu Ottavio Pudente a farsi avanti.

“Il patronus Cleonte – esordì - ha ragione quando afferma che tutti accusano tutti. E’ una vera persecuzione degli uni contro gli altri. Ad alimentare il diffuso malcostume è, forse, la prospettiva di una ricompensa? Si vede troppa gente in giro con la veste buona e la cartella piena di papiri sotto il braccio chiedere udienza ai magistrati... Non ricordate più, Padri Coscritti, contro chi sono dirette le accuse qui presentate?... Contro il nipote di un generale di provata fedeltà allo Stato e contro il figlio di re Caractatus che a tutti, qui a Roma, dette lezione di dignità e onore!... Decidete con coscienza, dunque, e per il vostro onore, poiché, la sentenza che emetterete, farà di voi uomini onesti o disonesti!”

Un silenzio glaciale accolse  le ultime parole di Pudente.

(continua)

brano tratto dal libro di Maria PACE   - LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenss
-www.lulu.com
-google book
-amazon book

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