NUT Signora del Cielo
Dea del Cielo, era figlia
di Shu (Aria) e Tefnut (Umidità)
La più bella fra tutte le
Dee e la più amata, era anche la più ribelle.
Dai testi delle Piramidi
giungono frammenti di leggende sulla sua violenza nel lasciare il grembo
materno e su altri miti che la riguardano.
Il più importante di
questi è certamente quello che narra la separazione dall’amatissimo Geb,
Dio della Terra. Secondo questo mito, Nut e Geb, innamorati fin
da quando erano nel grembo materno, erano in origine strettamente e
sessualmente avvinghiati. Questo suscitò la gelosia di Shu che con
l’aiuto degli Spiriti del Vento, li separò e tenne sua figlia sospesa in alto
sulle braccia (i Pilastri di Shu che reggono il Cielo).
Quella posizione le permise di partorire le Stelle e lasciarle navigare attraverso il suo Manto: muoversi nel cielo.
Quella posizione le permise di partorire le Stelle e lasciarle navigare attraverso il suo Manto: muoversi nel cielo.
La gelosia di Shu, però,
era così grande da giungere a proibirle di procreare ancora, in un giorno
qualunque dell’anno.
A toglierla dai guai,
giungendo in suo soccorso, fu un altro dei suoi innamorati: Thot, il
quale sfidò Shu ad una partita a senet (una specie di gioco a
scacchi), battendolo e pretendendo in cambio cinque giorni da aggiungere al
calendario, (conosciuti come: i Giorni di Thot), durante i quali la
povera Nut riuscì finalmente a mettere al mondo i suoi quattro figli.
Un’altra versione dello
stesso mito racconta che fu con la Luna, che Thot disputò la sua partita; il Signore della
Sapienza riuscì a batterla ed a sottrarle, per consegnarli a Nut, i cinque giorni ipagomeni, ossia i
cinque giorni fuori del ciclo annuale,
che avanzavano ai dodici mesi di trenta giorni e che venivano
intercalati tra la fine dell’anno corrente e il capodanno successivo
La prima a nascere fu Iside,
seguì Osiride; fu poi la volta di Seth, che lasciò il grembo
materno, seguito da fulmini e saette, con tale violenza da procurarle dolorosi
strappi. Per ultima nacque Nefty, la più bella. Tanto bella da meritarsi
l’appellativo di Vittoria.
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