MITICHE REGINE
Moltissime donne di potere, spose e figlie di Re, hanno lasciato il loro segno nella
Storia; occuparsi di tutte loro sarebbe
impossibile in questa sede. Ne sceglieremo solo alcune, per la spiccata
personalità di cui erano dotate, il momento storico che le ha viste protagoniste o il fascino particolare che la loro
figura ha suscitato nell’immaginario comune.
Ne citeremo solo alcune e non per il demerito delle altre,
ma per semplice criterio di scelta.
DIDONE Regina
di Cartagine
Di questo personaggio, che ondeggia tra storia e leggenda,
si sarebbe persa ogni traccia o ricordo, se non avesse avuto un cantore
d’eccezione come Virgilio.
Grazie a lui, poeti e scrittori, pittori e musicisti
l’hanno resa immortale.
Didone, la mitica fondatrice di Cartagine, che il mito più
antico chiama Elissa, è un personaggio epico, energico e quasi virile nel
vigore dello spirito e nella risolutezza delle opere. E’ una donna energica, intelligente ed astuta.
Virgilio, però, fa di lei l’eroina di un dramma amoroso
orchestrato e diretto dal Fato.
Chi era veramente la nostra eroina? La Elissa, cioè Allizah la Consacrata del mito più
antico oppure la Didone, cioè la Virago
del mito virgiliano?
Sia Storia oppure Leggenda, la Elissa-Didone dell’antico
mito era una donna dignitosa, forte e astuta.
Primogenita di Belo, re di Tiro, alla morte del padre ne
ereditò il trono assieme al fratello Pigmalione.
Per nulla disposto a dividere il trono con la sorella,
Pigmalione fece uccidere Sicheo, il ricchissimo ed amatissimo sposo di lei e
prese il potere da solo.
Per evitare una guerra civile la Regina decise di lasciare Tiro ed iniziare un peregrinare nel
Mediterraneo in cerca di una nuova patria.
La necessità aguzza l’ingegno, recita un adagio e la bella
Elissa dette subito prova di quanto ingegno fosse dotata.
Per lasciare Tiro aveva bisogno di navi e lei non ne
disponeva. Allora montò un’efficace quanto astuta messinscena per raggirare il
fratello. Gli chiese un incontro per discutere e trovare un accordo e Pigmalione
precipitò nella rete con l’intelletto offuscato dalla cupidigia per le di lei
ricchezze.
Egli inviò immediatamente uomini e navi a prelevarla, ma
la notte stessa in cui le navi approdarono nel porto, Elissa-Didone fece
caricare di nascosto a bordo tutte le sue ricchezze, lasciando in bella mostra
sul ponte una gran quantità di sacchi contenenti sabbia, facendo credere che
l’oro fosse là dentro.
Appena le navi ebbero raggiunto il mare aperto, la Regina
ordinò ai suoi uomini di gettare nelle acque l’ingente ricchezza gridando
“… meglio in mare che nelle mani infide ed indegne di
Pigmalione.”
In realtà si trattava solo dei sacchi pieni di sabbia.
Timorosi della reazione del loro Re, gli uomini di
Pigmalione preferirono mettersi al servizio della Regina piuttosto che tornare
al cospetto del Re e puntarono la prua delle navi in direzione della prima
isola.
Dopo lungo (o breve) peregrinare, le navi raggiunsero le
coste della Libia ed ancora una volta la bella ed astuta Regina pose in atto un
piano assai ingegnoso.
Ottenne da Jarba, un principe locale, un terreno su cui
edificare la sua casa: “… grande quanto ne poteva contenere una pelle di bue”.
Jarba accettò ed Elissa lo mise elegantemente “nel sacco”.
Fece tagliare in striscioline finissime una pelle di bue e
con esse tracciò un perimetro che conteneva tutta la collina e la campagna
circostante.
Su quel terreno la Regina edificò la sua città: Cartagine
o Birse, che in greco significa
“Pelle di bue” e in fenicio vuol dire “Collina”.
Bella, affascinante, ricca e potente, la Regina di
Cartagine attirò immediatamente le mire di molti pretendenti. Primo fra tutti,
quelle dello stesso principe Jarba il quale giunse a minacciarla di muoverle
guerra se non l’avesse accettato come sposo.
Elissa-Didone finse di accondiscendere alle richiese e
chiese ed ottenne di aspettare la fine del periodo di vedovanza. Quando giunse
il giorno della scelta di uno sposo, la Regina, ancora innamorata del marito e
fedele al giuramento di non sostituirlo con un altro uomo (nulla da stupirsi:
si era nel periodo patriarcale ed era la donna a scegliersi lo sposo) si
trafisse con una spada.
Come un grande Sovrano aveva compiuto la sua impresa e non
desiderava altro.
Il tardo mito, però, la vuole identificata con la donna
che seguì Enea profugo a Cartagine dopo la fuga da Troia e che, abbandonata, si
uccise e si gettò sul rogo lanciando imprecazioni.
Plutarco per primo respinse questa versione dei fatti resi
da Virgilio, insostenibile sia per il carattere della donna che per inesattezza cronologica.
Non si tratta più del personaggio Elissa-Didone, ma
piuttosto di Didone-Elissa.
Non solo Virgilio, ma anche Ovidio ne fa un personaggio da
tragica-commedia.
La Didone-Elissa di Ovidio non è né epica, né mitica e
tantomeno regale.
E’ una “relicta”. E’ una
donna che piange e si dispera; chiede ed implora.
La Didone-Elissa di Ovidio non è l’astuta, battagliera
conduttrice, fondatrice di città, che tiene a bada popolazioni avversarie, ma
una donna che per amore perde ragione e dignità.
Il personaggio non ci appare eroico come nell’antico mito,
ma vinto e un po’ patetico: non è più quello di una Regina gloriosa, ma di una
donna fragile sopraffatta dalla passione ed accecata da un dolore senza tregua
né espedienti: neppure quello abile, ma inutile, di un presunto figlio in
arrivo per trattenere l’amato.
Proprio un piccolo espediente da piccola donna!
Didone-Elissa è, dunque, una donna appassionata,
fragilmente femminile e in preda alla passione, che alla fine fa dire al suo
poeta:
“il motivo della
morte e la spada fornì Enea
ma con la sua stessa mano si tolse la vita Didone.”
Didone-Elissa, infatti, si uccide con la spada che lo
stesso Enea le aveva donato.
“Per te solo ho distrutto il pudore e la fama di prima
per la quale solo io salivo al cielo” dirà Virgilio,
donandole l’immortalità.
Didone, dunque, diventa immortale solo per essere una
donna e soprattutto una donna fragile
dopo essere stata una Regina gloriosa.
Didone, dunque, è un personaggio che diventa immortale
grazie alla propria sconfitta. Ma perché?
Perché Vigilio era romano e Didone, invece, cartaginese. E perché Roma e Cartagine erano
eterne nemiche.
Ma anche perché la morte di questa Regina doveva essere il
primo segno della vittoria dei romani sui cartaginesi. E non doveva essere la
“storia” dello scontro fra le due Potenze, bensì la “leggenda d’amore” fra due
personaggi mitici finita in dramma.
Doveva essere così, perché l’EPILOGO della “Leggenda” di Didone, doveva costituire il
PROLOGO della “Storia” di Roma.
Nessun commento:
Posta un commento