Hashashin! Con
questo termine era indicata la famosa Setta che tanto fascino perverso suscitò
sull’Occidente.
Il termine “Assassino” deriva proprio da Hashashin, che
significa consumatore di hashish, una droga ottenuta dalla canapa indiana.
Il nome originale
della setta era Isma’iliti, dal nome
del suo fondatore, l’emiro Isma’il ibu Gia’ far.
Isma’iliti… da non
confondere con Ismaelita.
Isma’iliti erano i
seguaci della Setta mentre, invece, Ismaeliti erano (e sono) i discendenti di
Ismaele, figlio di Abramo e dell’egiziana Agar.
Come in ogni setta,
anche in quella degli Isma’iliti esisteva una gerarchia con a capo il Djebal, o
Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con
prerogative di Monarca assoluto.
Del “Veglio
dellaMontagna” si tanto favoleggiato, in Occidente: fiumi d’inchiostro e
chilometri di pellicola.
E non sempre a
proposito.
Si è sempre parlato
della crudeltà della Setta, ma non si è mai… o quasi mai, fatto cenno alle
ragioni delle sue origini.
Nacque durante le
Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali:
difendere il Santo Sepolcro.
Dai Cristiani, però.
Gli Isma’iliti erano
gli avversari dei Templari e dei
Teutonici, dunque. Tra questi opposti Ordini di combattenti, però, c’era una
sorta di cavalleresca intesa.
Soprattutto con i
Cavalieri Teutonici.
Interessante notare
anche quanto l’organizzazione dei due Ordini Cristiani fosse simile sia
gerarchicamente, che nel comportamento duro ed intransigente fino alla
crudeltà.
Gerarchicamente i
Teutonici si presentavano con una piramide così composta: Gran Maestro, Grande
Priore, Priore, frate, scudiero;
l’Ordine islamico invece era così costituito: Djebal, Sheik, Daiikebir,
dais, ecc…
Sia i Templari che i
Teutoni, dunque, tennero con questa Setta ogni genere di rapporto e stipularono
Trattati spesso senza tener conto delle
disposizioni papali.
Vale per tutti
l’esempio di Federico II di Germania.
L’imperatore
tedesco, per una dozzina e più di anni, era riuscito a continuare a rimandare
la sua Crociata (ogni Sovrano europeo aveva la sua bella Crociata), finendo per
attirare sul suo capo la Scomunica Papale.
Finalmente, il
Sovrano si decise a partire per la Terrasanta. Assistito dalla fortuna e
soprattutto dalla sua capacità di guerriero e stratega, l’imperatore conseguì
una straordinaria vittoria e non esitò
a proclamò Re di Gerusalemme ed
auto-incoronarsi.
Amante dei fasti
orientali (Federico possedeva perfino un harem), egli intrattenne rapporti
cordiali con il “Veglio della Montagna”,
l’emiro Al-Djebal, che invitò perfino alla sua tavola.
Si trattava di
rapporti diplomatici, naturalmente, e il punto principale era il permesso ai
Musulmani di praticare il proprio culto nella città santa di Gerusalemme, ma
l’atmosfera era di reciproco rispetto.
La setta degli Isma’iliti,
come ogni altra setta, era selettiva nella scelta dei propri adepti: giovani
coraggiosi, atletici e con la vocazione all’obbedienza ed alla fedeltà più
cieca ed assoluta; una volta entrati a farne parte, non era più possibile
uscirne.
Si è sempre pensato
( e forse è anche vero) che alla base di tanta fedeltà al “Veglio”, ci fosse l’uso e l’abuso di sostanze come
l’hashish, che schiavizzava i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del
Gran Maestro, come accadeva (sia pur con altri mezzi, ai Teutonici).
Il caso, però, che
li ha resi famosi, è legato soprattutto al sultano Aloylin, una figura
inquietante, dispotica, sadica e crudele.
Di lui si raccontava
che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un
espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere
per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da
belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l’effetto
della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo
in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro
volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque
ordine del Sultano, per tornare in quel
“Paradiso”.
Perfino uccidere o
uccidersi.
Sempre a voler dar
fede a questi racconti, il sultano, per dimostrare ai suoi ospiti occidentali
la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante:
ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall’alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani
eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in Paradiso.
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